Alcune considerazioni sui Beatles e su Abbey Road

Una serie di ricordi personali sui Fab Four e sull’album Abbey Road, di cui quest’anno si festeggiano i 50 anni dalla pubblicazione.

Non ricordo con precisione il momento in cui i Beatles entrarono nella mia vita. Il gruppo di Liverpool è uno di quei fenomeni di cui, ad un certo punto e senza una ragione precisa, diventiamo consapevoli. Certamente, la mia conoscenza iniziale dei Fab Four è riconducibile alla presenza delle raccolte The Beatles 1962-1970 nella collezione di dischi dei miei genitori. Da piccola, quando ascoltavo Let It Be e Yellow Submarine, ancora ignara della lingua inglese, immaginavo che nel primo brano fosse dipinta la storia di un’aristocratica chiamata “Lady B”. Yellow Submarine suonava invece come un’euforica filastrocca; anni dopo, vedendo lo psichedelico film di cui la canzone è colonna sonora, capii che la mia immaginazione non era così lontana dalla realtà.

A formare gran parte della mia passione per i Beatles è stato il film di Julie Taymor Across the Universe (2007), dove attraverso i successi del gruppo, venivano rievocate le atmosfere degli anni ’60. Insieme a brani che già conoscevo come Hey Jude, I Wanna Hold Your Hand e All You Need Is Love ascoltai per la prima volta I Want You (She’s So Heavy), Oh! Darling e Happiness Is A Warm Gun. Me ne innamorai immediatamente.

Scoprii successivamente che Oh! Darling e I Want You (She’s so Heavy) erano contenute in Abbey Road, l’album con la celebre copertina dei quattro sulle strisce pedonali. Poche settimane fa sono stati celebrati i 50 anni dalla pubblicazione dell’LP e per l’occasione è uscita un’impressionante edizione con nuovi outtakes e demo. In quei giorni, ha riportato il Guardian, l’album è tornato al primo posto nella classifica del Regno Unito: “C’è ancora qualcosa di buono nel mondo” – ho detto ad un amico indicandogli il titolo sul quotidiano.

Abbey Road
Copertina di Abbey Road.

Uno dei miei primi ricordi legati ad Abbey Road risale al giorno in cui, trovandomi in vacanza a Londra, trascinai la mia famiglia fino a St John’s Wood; volevo vedere con i miei occhi i mitici studi dove i quattro registravano. Anni dopo, esplorando i luoghi musicali della capitale britannica, mi imbattei in una bancarella con centinaia di vinili; tra questi c’era Abbey Road.

Avevo già ascoltato l’album su CD e sulle varie piattaforme di streaming, ma quando la puntina toccò il disco, le canzoni presero nuova vita, inondando l’ambiente di suoni colorati. Sembrerà scontato scriverlo quando si tratta dei Beatles, ma devo comunque ripeterlo: Abbey Road è un capolavoro, non soltanto per le innovazioni tecniche e il modo avanguardistico con cui fu registrato, ma perché è un’opera dal potente impatto emotivo.

Basterebbe la lista di brani presenti nel lato A per garantire all’album un posto d’onore nel sacro tempio del rock ‘n ‘ roll: l’ammiccamento a Chuck Berry di Come Together, il classico di Harrison Something, il gusto retrò caro a McCartney di Maxwell’s Silver Hammer, il rock alla Little Richard di Oh! Darling, l’incursione acquatica di Octopus’s Garden e l’orgiastica I Want You (She’s So Heavy).

Passando al lato B, accade però qualcosa di ulteriormente magico: l’incantesimo, che ha inizio con Here Comes the Sun e Because, trionfa nel Medley formato da You Never Give Me Your Money/ Sun King/ Mean Mr Mustard/ Polythene Pam / She Came in Through The Bathroom Window/ Golden Slumbers/ Carry That Weight/ The End. Un flusso di note, cambi ritmici, passaggi anticipatori del prog-rock e distese orchestrali che vanno a comporre uno dei più surreali montaggi sonori della storia musicale. Come scrive Jon Savage, forse il Medley non troverà senso a livello logico, ma è capace di infondere una sequenza di emozioni ineguagliabile. E quando, con The End, sembra giungere una meravigliosa conclusione, McCartney ha ancora un asso nella manica nella perla acustica di Her Majesty.

Paul McCartney esegue live Golden Slumbers/Carry That Weight/The End.

Anche se il mio album preferito dei Beatles è Revolver, provo un’enorme fascinazione nei confronti di Abbey Road, perché rappresenta l’epilogo ideale dei quattro. A differenza delle registrazioni di Let It Be (avvenute pochi mesi prima di quelle per Abbey Road), che videro l’accumularsi di incomprensioni e litigi tra i quattro, le sessioni di Abbey Road furono segnate da supporto reciproco e un’atmosfera positiva. Se le canzoni che vanno a comporre Let It Be sembrano echeggiare le tensioni interne al gruppo, nei brani di Abbey Road è percepibile una ritrovata felicità.

Nel 1970, il gruppo annunciò ufficialmente lo scioglimento, sconvolgendo milioni di ammiratori. The Dream is Over, ironizzava Lennon in chiusura a Plastic Ono Band, il suo debutto da solista. Il sogno era finito e con esso, gli ideali di una decade che aveva visto la nascita della band più importante della storia.

Abbey Road è sintesi del reverie in Technicolor che contraddistinse la carriera dei Fab Four e i magici 60’s. Ed è nel modo in cui emergono George, Ringo, John e Paul in questo album che li voglio ricordare: non come membri del fenomeno Beatles, ma semplicemente come quattro amici con la ritrovata passione per la musica, che li aveva fatti incontrare fin dall’inizio. Un incontro capace di segnare numerose vite; tra queste anche la mia.

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