Il 21 novembre 1979 usciva l’album di debutto delle Raincoats con l’etichetta indipendente Rough Trade Records.
Il 1979 fu indubbiamente un anno importante per la musica: i Clash pubblicarono il doppio album London Calling, dove sonorità punk incontravano ritmi reggae e le Slits uscirono con lo sperimentale The Cut. Il ’79 viene anche ricordato per la pubblicazione di The Raincoats, debutto dell’omonimo gruppo formato da Ana da Silva, Gina Birch, Palmolive e Vicki Aspinall. Come la maggior parte delle band che dominavano la scena in quegli anni, le Raincoats non avevano grandi capacità tecniche (eccetto la violinista Vicki Aspinall), ma possedevano una forte passione per la musica.
Sul finire degli anni ’70, nessuno aveva più tempo per i virtuosismi di Eric Clapton o il rock progressivo dei Pink Floyd. C’era bisogno di immediatezza, di suoni fin da subito identificabili e nel quale ritrovare qualcosa di sé. Questo senso di urgenza è percepibile nei 34 minuti di The Raincoats, un’opera che con il passare del tempo ha acquistato nuove sfumature e significati.
In occasione dei 40 anni dell’album, celebrati proprio in questi giorni, Ana Da Silva e Gina Birch (accompagnate da Vice Cooler alla batteria e Anne Wood al violino) si sono esibite all’Earth Hackney di Londra, eseguendo The Raincoats per intero. La loro è stata una performance sorprendente, punk nell’anima, immune dalle insipide politiche del live premeditato e dominato da una necessaria spontaneità.


Le Raincoats sono ancora quelle di una volta; il senso di irraggiungibilità che spesso percepiamo nel vedere un musicista dal vivo, si dissolve totalmente nell’incontrare Ana e Gina. Se la maggior parte delle band tende ad ignorare le grida del pubblico durante un live, le Raincoats si fermano per dialogare con la platea anche quando un brano è già oltre l’intro. In un certo senso, il modo di suonare delle Raincoats ricorda un po’ la narrazione non tradizionale del cinema della Nouvelle Vague; come nei film di Godard, ascoltando le Raincoats siamo trasportati dalla loro poetica anarchia.
C’è qualcosa del gruppo che rimanda ai Velvet Underground, sicuramente l’uso dissonante del violino ispirato a John Cale, ma anche la poesia quasi decadente dei testi che accompagnano la musica. Nel vedere le Raincoats dal vivo, il modello che appare più evidente è però Patti Smith. Ana Da Silva era tra gli spettatori del celebre concerto del Patti Smith Group alla Roundhouse nel 1976 e l’energia sprigionata quella sera dalla cantante influenzò profondamente la futura componente delle Raincoats: “Patti arrivò sul palco con un fiore in mano, lo mise in bocca e sputò i petali” (da The Raincoats di Jenn Pelly).
Anche le Slits ebbero un ruolo fondamentale nella formazione delle Raincoats. Nel marzo 1977, Gina Birch assistette ad un live che aveva nella line-up Clash, Buzzcocks, Subway Sect e Slits. Quando Gina lasciò il concerto decise di dar vita ad una band; era stata la performance delle Slits ad ispirarla. Il gruppo, guidato da Ari Up e di cui facevano parte anche Viv Albertine e Palmolive (che diventerà poi la batterista delle Raincoats) non guardava alla perfezione tecnica, ma voleva provocare una reazione emotiva nel pubblico. Nel punk, come spiega Greil Marcus nel saggio Disorderly Naturalism, la mancanza di un background tecnico diventa punto di forza: “La musica delle Raincoats cattura perfettamente il processo del punk che è essenzialmente l’incontro tra un forte sentimento e una limitata capacità tecnica”.
È l’umanità che contraddistingue il gruppo e la possibilità di immedesimazione nelle loro canzoni a rendere The Raincoats un grande album. Chiunque si ritroverà nella solitudine di The Void, nell’insicurezza dipinta in Black and White e nel senso di smarrimento di Adventures Close to Home. Oltre ad offrire un forte coinvolgimento emotivo, i brani di The Raincoats stimolano la coscienza dell’ascoltatore affrontando temi senza tempo: Off Duty Trip racconta la storia di un soldato colpevole di violenza sessuale, scagionato grazie al suo status. “È una canzone purtroppo ancora tremendamente attuale” ha commentato amaramente Ana durante il live londinese.
Anche You’re a Million, con le sue lyrics che rimandano all’oppressione politica, non conosce barriere temporali. Il pezzo portante del disco è Fairytale in the Supermarket in cui si celebra l’imprevedibilità della vita:“It makes no difference, night or day, no one teaches you how to live” dichiara Ana in apertura al brano, “But don’t worry, honey don’t worry this is just a fairytale, happening in the supermarket” prosegue ironicamente il chorus. Fairytale è uno dei brani post-punk più rappresentativi di quell’epoca sonora.
The Raincoats è un disco che vanta numerosi ammiratori, tra cui Kurt Cobain: “Non so praticamente niente delle Raincoats se non che hanno registrato della musica che mi influenzato a tal punto da ricordarmi, ogni volta che la sento, un periodo della mia vita in cui ero estremamente infelice, solo e annoiato. Se non fosse stato per la possibilità di ascoltare quella vecchia copia di ‘The Raincoats’ avrei avuto pochi momenti di pace” scriveva il leader dei Nirvana nelle note di una nuova edizione del disco.
A quarant’anni dalla sua pubblicazione The Raincoats è diventato un album fondamentale, un lavoro innovativo, coraggioso e trasformativo per chi lo ascolta. È un disco importante per tante persone perché ha una caratteristica comune soltanto a pochi album, una qualità non riscontrabile nella tecnica musicale, ma nella sincerità con cui un gruppo si propone: quella di fornire un mezzo per combattere la solitudine che caratterizza ognuno di noi.
© Foto copertina: Rough Trade Foto articolo: Martina Ciani