Nel suo quarto lungometraggio Wes Anderson attinge dal catalogo di Bowie per raccontare la storia di Steve Zissou.
Ho sempre amato la pellicola The Life Aquatic with Steve Zissou di Wes Anderson per l’avventura che racconta, per la forma quasi fumettistica della messa in scena (tipica di tutti i film di Anderson) e per il personaggio principale, interpretato da Bill Murray. Di recente, nel rivedere il film, ho trovato un altro motivo che rende il lungometraggio uno dei miei preferiti: è grazie a The Life Aquatic with Steve Zissou che ho scoperto David Bowie.
Nel 2004, anno di uscita del film, conoscevo Bowie per Heroes e poco più. L’avevo incontrato per la prima volta tra le pagine del manuale di lingua inglese. Avrò avuto 8 anni, ma ricordo distintamente la foto risalente al periodo dell’album Earthling (1997): Bowie con i capelli rossi, l’orecchino e la giacca dell’Union Jack. Poi devo aver perso di vista l’ex Ziggy Stardust, perché prima dell’uscita del film di Anderson, Bowie era per me una figura dai tratti confusi.
Con The Life Aquatic with Steve Zissou, ho ascoltato per la prima volta Life on Mars? e da quel momento qualcosa è cambiato. Se Martin Scorsese considera la sequenza finale de L’Eclisse come un momento che ha aperto il linguaggio cinematografico a svariate possibilità, con Life on Mars? Bowie ha fatto altrettanto in musica.
La canzone, presente nell’album del 1971 Hunky Dory, è dirompente, esagerata, ma allo stesso tempo ben calibrata. Giungendo alla trionfale coda orchestrale, ci sentiamo come se fossimo stati privati della chiave d’accesso ad un universo incantato. Vorremmo che Life on Mars? andasse avanti all’infinito, perché consapevoli che tale magia non sarà facilmente ripetibile.
Wes Anderson sfrutta le possibilità diegetiche del brano di Bowie, inserendolo in una scena chiave di Life Aquatic. Nella sequenza, Ned (Owen Wilson) rivela a Zissou (Murray) che potrebbe essere suo figlio. Zissou, già reso vulnerabile dalla perdita del migliore amico Esteban (vittima dello squalo giaguaro, sulla cui caccia è basata la pellicola), rimane senza parole. Anderson accompagna la scena con una versione strumentale di Life on Mars? che sottolinea la fragilità del momento. Quando Zissou si allontana da Ned per riflettere e si isola nella sua insicurezza, il brano di Bowie esplode. È un connubio tra musica e immagini molto potente: l’incipit di Apocalypse Now, con gli elicotteri, le esplosioni e The End dei Doors a commentare la guerra in Vietnam, esercitò su di me la stessa forza.
Se The End è essenziale in Apocalypse Now (tornerà anche nella scena dell’uccisione di Kurtz), Life on Mars? è fondamentale nel film di Anderson. Il regista la utilizza per esplorare un personaggio che cerca in ogni modo di mascherare i suoi sentimenti: Zissou è intrappolato nel suo universo acquatico perché afflitto da problemi che si rifiuta di affrontare. Le criptiche parole del testo di Life on Mars? diventano specchio dell’enigmaticità di Zissou: avvicinandosi con la macchina da presa, Anderson tenta di rivelare l’anima dell’oceanografo, ma è ancora troppo presto per decifrarlo.
Nella pellicola, il regista utilizza brani di Bowie reinterpretati in portoghese da Seu Jorge: Starman, Rock ‘n’ Roll Suicide e Five Years erano stati scritti con il pensiero rivolto all’immensità dello spazio e si adattano perfettamente al personaggio di Zissou, l’esploratore dei mari. Le canzoni di Bowie vanno oltre le limitazioni terrene, apparendo a loro agio in ambienti indeterminati, come lo spazio o l’oceano. Il mare è dove Zissou, perdendo il figlio, ritrova se stesso.
Se con Life on Mars? Anderson aveva iniziato a delineare Zissou, nel finale, per mezzo dell’incalzante glam rock di Queen Bitch (ancora da Hunky Dory), il personaggio di Bill Murray è ormai rivelato per quello che è: Zissou non sarà un vincitore, ma neanche un vinto.
Oltre ad essere un’opera fondamentale nella poetica di Wes Anderson, Life Aquatic ha quindi il merito di usare la musica di David Bowie come parte integrante della narrazione.
Solo rivedendo il film dopo molto tempo, ho ricordato l’influenza che ebbe nell’introdurmi allo sterminato universo di Bowie. In qualche modo però, questo connubio tra Anderson e il cantante appare come uno dei più naturali: i due sono entrambi dei cantastorie che con le loro affabulazioni ci distraggono, almeno per un momento, dal triste suono della quotidianità.