Il leggendario Iggy Pop incontra il pubblico per parlare della sua carriera e del nuovo album Free.
Come dichiara Johnny Marr in ‘Til Wrong Feels Right, Iggy Pop è stato molte cose: l’originale Jean Genie, uno Stooges, un ribelle e una leggenda. Studiando attentamente Jimmy Osterberg, queste personalità sono effettivamente ben visibili. Il modo con cui Iggy si presentò ai miei occhi però, fu quello di un bizzarro signore che ballava come un pazzo sul palco degli MTV Europe Music Awards.
Era il 1999 e in tanti stavano riscoprendo Lust for Life (dall’album omonimo del 1977) grazie alla colonna sonora del film Trainspotting. Iggy aprì la cerimonia di MTV, che quell’anno si svolgeva a Dublino, con una versione del brano più aggressiva dell’originale e indossando (come da copione, ma allora non lo sapevo) soltanto degli attillati pantaloni neri. La sua fu un’apparizione sconvolgente nella mia vita e forse il mio primo vero incontro con il rock ‘n’ roll. Ero però ancora troppo giovane per comprendere l’essenza primordiale di Iggy.
L’incontro decisivo con Mr Osterberg avvenne più tardi, in seguito alla visione di Control, il film diretto da Anton Corbijn sulla vita di Ian Curtis. Il destino volle che prima di lasciarci, Curtis ascoltò un album di Iggy Pop, The Idiot (uscito nel 1977). Un’irrefrenabile curiosità mi spinse verso il disco: dall’apertura con Sister Midnight fino alla conclusione di Mass Production quel sound alieno mi catturò. Non avevo mai ascoltato niente del genere, un ammasso di suoni che non riconduceva a qualcosa di già esplorato e segnato dall’inconfondibile voce di David Bowie fuori campo. The Idiot è ancora oggi uno dei miei album preferiti.
Riassumere Iggy Pop in poche parole è impossibile e forse ho già divagato troppo. Prima leader degli Stooges, ignorati dai loro contemporanei perché profeti punk e apprezzati soltanto una decade dopo. In seguito solista prodotto da Bowie, con cui condivise un modesto appartamento nella Berlino segnata dal muro. Di nuovo in solitudine e poi ancora con colui che fu Ziggy Stardust nell’album Blah Blah Blah (1986). Tra alti e bassi attraverso gli anni ’90, con gli adepti del grunge che lo veneravano, così come i junkie di Irvine Welsh. E ancora l’era contemporanea, con Post Pop Depression (2016) incoronato da Rough Trade album dell’anno, fino ad oggi e all’improvvisazione jazz di Free.
A 72 anni, Iggy Pop ha una sola aspirazione: essere libero. E nel vederlo qualche giorno fa in conversazione con lo scrittore Will Self, è proprio così che Jimmy appare. Libero dalle costrizioni dell’industria musicale e capace di produrre il disco che vuole. Finalmente a posto con l’ingombrante alter-ego Iggy Pop e pronto a rivisitare il leggendario passato.
Questo è quanto emerso attraverso un’ora passata in compagnia del leggendario Iggy, the Jean Genie who loves to be loved.

Iggy e Londra negli anni ‘70
Passavo molto tempo fuori dalla Albert Hall e andavo spesso al Serpentine, c’erano davvero tante cose che potevi fare e la città era molto più lenta di com’è oggi. Nel 1972 se andavi a King’s Road, sembrava che ci fosse una gara per essere il più magro, gli uomini andavano in giro con uniformi usate dei Cub Scouts. A quel tempo a World’s End c’era lo shop Let it Rock (di Vivienne Westwood e Malcolm McLaren). Se avevi soldi ed eri una persona rock ‘n’ roll, andavi da Granny Takes a Trip, che era un negozio con vestiti in stile vittoriano. Speakers’ Corner (ad Hyde Park) era un altro posto dove amavo andare.
Sui movimenti della Controcultura
Anche gli hippie facevano parte della Controcultura. A cambiare tutto comunque fu la pillola, che tolse ogni restrizione. Negli Stati Uniti c’era questa grande voglia di organizzarsi e prosperare. In un certo senso io sono in imbarazzo perchè so leggere meglio di quanto sapesse farlo Elvis; il rock ‘n’ roll migliore era fatto da ragazzi come Link Wray, gente che veniva dal basso.
L’influenza della musica black
Quando ero ragazzino, negli anni ’60, la musica a cui venivo esposto era prodotta da artisti di colore. Attraverso la top 40 alla radio potevo ascoltare tanti di questi artisti, come Joe Tex e Booker T. and the M.G.’s. Non potevo suonare come loro, ma ho provato a portare un po’ della logica che pensavo fosse dietro a quella musica negli Stooges.

The Stooges
Quando arrivammo a registrare il primo album i membri della band volevano un suono più normale rispetto a quello che avevamo all’inizio. In ogni caso nell’album c’era un canto di 10 minuti in stile Hindu. Nessuno gli dà importanza, ma è molto bello e John Cale suona la viola nel pezzo. Ron Asheton (chitarrista della band) ascoltava, probabilmente inconsciamente, il feedback che proveniva dall’amplificatore e la chitarra procedeva di sua iniziativa. Ma era bello e suonava quasi come Ravi Shankar, un sitar elettrico.
In I Wanna Be Your Dog, a causa della compressione nello studio, c’erano due volumi diversi in ogni riff e quel cambio di intensità dà alla canzone un senso come di perdersi nel mare.
Quando abbiamo inciso gli album degli Stooges non sapevamo cosa fosse la masterizzazione, così la casa discografica li ha registrati molto bassi. In origine, tutti in nostri dischi in vinile avevano un volume bassissimo; la nostra salvezza sono stati i CD che, per quanto siano brutti, ci hanno ridato il nostro sound originale. Raw Power è uno degli album che ho rimasterizzato personalmente.
Da leader degli Stooges pensavo che se fossi stato sicuro di me, gli altri avrebbero avuto questa percezione della band. Non avevo idea di quanto sarebbe stato difficile raggiungere un numero significativo di persone. Il problema principale è che la musica è un’arte industriale, anche se ora lo è un po’ meno, è più tecnologica.
L’impatto dello streaming
Lo streaming mi ha aiutato molto. Per me gli anni ’80 sono stati i più difficili: quando andavo in un negozio di dischi, trovavo sempre un enorme cartonato del Boss (Bruce Springsteen), mentre i miei album erano sempre nascosti nella sezione sub-culture, acconto a roba che non mi rappresentava. Ma ora con lo streaming c’è molta più parità e le persone possono ascoltare quello che vogliono.
Free
Non avrei mai potuto pubblicare questo album, se non lo avessi finanziato personalmente. Sono stato coinvolto nella produzione e ho scelto l’idea generale alla base del disco. Ho lavorato con Leron Thomas, un musicista hip hop e di jazz sperimentale, che ha scritto alcune delle canzoni presenti nell’LP. Leron non amava particolarmente Sonali, che è stata composta da un altro membro del gruppo, ma io la ritenevo un’ottima canzone. Quando mi ha sentito cantarla, ha capito che tenevo molto al pezzo.
Dirty Sanchez è un brano groovy con un basso ben pianificato e una batteria in stile New Orleans, suonato da musicisti francesi.
Il pezzo è una sorta di declamazione: inizia con due persone che discutono e poi va a toccare temi come la schiavitù, la pornografia e la frustrazione sessuale. Quando Leron me l’ha mandata, nell’ascoltarla ho riso perché in qualche modo è anche divertente. Ho suggerito di inserire la tromba, perché era l’unico modo per far accettare la canzone.
Il componimento di Dylan Thomas, Do Not Go Gentle Into That Good Night e la poesia di Lou Reed The Dawn, fanno parte in un certo senso, del lato B del disco. Le prime 5 canzoni hanno una struttura classica e sono a sé stanti, poi a partire da Glow in the Dark e passando per Page, si ha un’altra atmosfera. Volevo che i tre poemi fossero insieme alla fine.
In Do Not Go Gentle Into That Good Night ogni stanza ha un personaggio archetipo: ci sono l’uomo serio, quello buono, il selvaggio e il saggio. Prima di morire scoprono i loro errori. Io non sono arrabbiato come i personaggi del poema, ma mi sto concedendo l’opportunità di fare quello che mi piace, perché so che mi restano al massimo 15 anni.
Jimmy e Iggy
Quando avevo 18 anni ho deciso di lasciare il college per diventare un musicista. Sono stato un batterista e non ero affatto male. Facevo parte di una blues band e un ragazzo con cui lavoravo e i compagni mi chiamavano l’Iguana, per prendere in giro il gruppo che avevo al liceo, The Iguanas. Capii che quella band non sarebbe andata da nessuna parte e così decisi di iniziare qualcosa per conto mio. Facemmo da apertura a una di quelle band orribili, i Blood Sweat & Tears. Nella recensione del concerto il giornale del college ci dedicò ampio spazio e lì venivo chiamato Iggy. Volevo comunque restare Jimmy nella vita ed essere Iggy quando lavoravo.
Mi sono sentito a mio agio con Iggy quando avevo 55 anni perché ho pensato: guarda tutto quello che ho fatto, mi piace quella canzone, mi piace quel disco, ho resuscitato la band (Stooges), insomma ero soddisfatto. Ora se non mi piace il modo in cui qualcuno mi chiama Jimmy, gli dico di chiamarmi Iggy.
Mr Osterberg
La mia famiglia mi ha dato tanta attenzione e supporto, non avevano soldi, vivevamo in una roulotte, ma mio padre aveva un’istruzione grazie al GI Bill e mia madre era intelligente. Erano entrambi cresciuti nella povertà e mio padre non aveva mai conosciuto i suoi genitori. Le rispettive famiglie dei miei sono state rovinate dalla Depressione e questo li ha fatti diventare persone conservatrici. Nonostante il budget molto limitato, facevano qualsiasi cosa per me, dal venire a prendermi a scuola al “proteggermi” da Elvis Presley. Una volta portai a casa un disco di Muddy Waters, cercavo di impararlo al piano e mio padre mi disse: “Jim capisco che un uomo debba piangere, ma non devi fare lo stesso”. Secondo me invece, tutti devono piangere.
Recentemente ho passato molto tempo con una giornalista perché stava cercando di scrivere un libro su di me. Mi ha fatto notare come l’aver fatto parte di una blues band, mi abbia insegnato a tirar fuori una forma di espressione dalla disperazione. E aveva ragione.
Il nuovo album di Iggy Pop, “Free”, è uscito lo scorso 6 settembre per Loma Vista. La collezione di lyrics, “‘Till Wrong Fells Right”, è stata pubblicato dalla Penguin il 26 settembre. Per una storia esaustiva degli Stooges suggeriamo la visione di “Gimme Danger”, documentario dedicato alla band, diretto da Jim Jarmusch.