Il film con Adam Driver e Scarlett Johansson, presentato allo scorso Festival di Venezia, è ora visibile su Netflix.
Anche se non amo particolarmente le classifiche di fine anno, questa volta mi sento di dire che per quanto riguarda il cinema non ho dubbi: Marriage Story di Noah Baumbach è il mio film preferito del 2019.
Non dimentico certamente il magnifico The Irishman di Martin Scorsese, uno dei registi che ammiro di più in assoluto. Scorsese però è un autore già affermato da tempo e rispettato da critica e pubblico. Baumbach invece è un regista relativamente giovane che ha ricevuto numerosi apprezzamenti per alcuni titoli, su tutti The Squid and the Whale e Frances Ha, ma che rimaneva, fino a poco tempo fa, noto soprattutto tra gli appassionati.
Con Marriage Story, Baumbach ha conquistato il posto che gli spetta nell’immaginario cinematografico. Il suo è un film dal ritmo brillante che alterna dramma e commedia, con una sceneggiatura dalla netta impronta teatrale priva di momenti di stasi. Anche autore della sceneggiatura, Baumbach raggiunge nella scrittura un’intensità emotiva che in pochi saprebbero imitare.
Ne è esempio la scena in cui Charlie (Adam Driver) e Nicole (Scarlett Johansson) si confrontano, tirando fuori rabbia e frustrazione perché prigionieri di un sistema (quello giuridico americano) che li ha in qualche modo deumanizzati. La sequenza è costruita attraverso un’ escalation di battute che culmina nella devastante disperazione di Charlie. È una scena che arriva al climax in maniera graduale, evitando forzature e non cadendo nel melodrammatico. Il silenzio che ha provocato nel pubblico durante la proiezione al BFI di Londra, è qualcosa che non scorderò mai.
La grandezza della scena è dovuta alla scrittura di Baumbach, ma anche alle interpretazioni di Adam Driver e Scarlett Johansson. Se il primo è una conferma, la Johansson è sorprendente in quella che è sicuramente la migliore performance della sua carriera. I due sono supportati da un ottimo cast formato tra gli altri da Alan Alda e Ray Liotta e in cui spicca la spietata avvocatessa interpretata da Laura Dern.
Anche la colonna sonora di Randy Newman contribuisce al fascino della pellicola. Le composizioni colgono perfettamente l’atmosfera del film e più che limitarsi a fornire un accompagnamento alle scene, diventano espressione sonora dello stato interiore dei personaggi. Nella sequenza in cui Charlie e il figlio Henry vagano per le strade di Los Angeles nella notte di Halloween, il motivo di Newman riflette la malinconia provata dal personaggio di Driver. Lo stesso accade nella splendida conclusione affidata a Sgt. Pepper Shoelaces.
Un commento finale va alla casa di produzione del film, Netflix. C’è chi nutre dei dubbi sul ruolo del servizio di streaming come produttore cinematografico, ma è grazie a Netflix se quest’anno abbiamo visto The Irishman e Marriage Story. Come hanno spiegato Scorsese e Baumbach, nessuna altra casa di produzione voleva finanziare i loro film.
I detrattori di Netflix temono che la disponibilità immediata di un film online finirà per allontanare il pubblico dalle sale cinematografiche. L’intenzione di Netflix sembra però opposta: poche settimane fa, il Paris, uno degli storici cinema di New York (che aveva chiuso lo scorso agosto), ha riaperto con una proiezione di Marriage Story. Sembra una storia tratta da un film di Frank Capra, ma invece è la realtà.
Intanto, la stagione dei premi si avvicina e Marriage Story ha ricevuto sei nomination ai Golden Globes tra cui miglior attrice, attore, sceneggiatura e film drammatico. In fondo però, i premi non contano; ad essere importanti sono le sensazioni che un film riesce a trasmettere. Marriage Story possiede dei momenti che si insinuano nello spettatore e lo accompagnano ben oltre la visione. Ed è questo a renderlo un grande film.