Il regista ha incontrato il pubblico del BFI dopo la proiezione del suo ultimo film Dolor y Gloria.
Nell’ultimo film di Pedro Almodóvar, c’è una scena in cui il regista Salvador Mallo (interpretato da Antonio Banderas) è atteso ad un incontro con il pubblico, in seguito alla proiezione di un suo film alla cineteca di Madrid. Mallo però non si presenta e il Q&A avviene solo telefonicamente.
L’episodio è ironicamente molto simile a situazioni in cui molti registi si ritrovano: Almodóvar però, al contrario del suo protagonista, sembra felice di incontrare il pubblico del BFI per parlare del suo ultimo film Dolor y Gloria.
La genesi di Dolor y Gloria
Ho scritto la sequenza d’apertura del film subito dopo la mia operazione alla spalla. Provavo molto dolore e l’unica cosa a darmi sollievo era il contatto con l’acqua perché rimuoveva ogni tensione. Ho iniziato a scrivere basandomi su questa sensazione. Uno dei miei ricordi d’infanzia più felici è legato all’acqua di un ruscello con le donne intente a lavare (la scena è ricreata nel film). Era un momento molto triste, ma allo stesso tempo pieno di vita. È quindi attraverso l’acqua che ho collegato i ricordi della mia infanzia con il presente.
Elementi reali e fittizi
Nel film c’è un momento in cui la realtà si mischia alla finzione e viceversa. Non ho usato solo i miei ricordi, ma anche quelli dei miei fratelli e dei miei amici. Ci sono elementi per me molto familiari come la musica: quella di Mina e di Chavela Vargas che ha per me un enorme significato. Credo che nessuno abbia interpretato l’abbandono con lo stesso potere di Vargas.
Lavorare con Antonio Banderas
Quando ho finito la sceneggiatura avevo in mente Antonio, ma il registro richiesto era qualcosa che non aveva mai affrontato. Nel film, Antonio ha usato uno stile distinto e la sua è un’interpretazione brillante, sicuramente tra le migliori della sua carriera. Abbiamo fatto le prove durante la preproduzione, anche se Antonio non ne aveva realmente bisogno. Penélope invece (Penélope Cruz interpreta la madre di Salvador da bambino) si sottopone ad un lungo periodo di prove per entrare nel personaggio.
Le prove prima di girare sono molto importanti anche per me, perché mi permettono di trovare le battute giuste. Quando scriviamo non riproduciamo i dialoghi come nella realtà; attraverso le prove posso migliorare lo script.

Il processo di scrittura
Per me il processo di scrittura è sempre vivo. Mentre giro, scopro nuove sequenze, parti che si rivelano molto importanti per la pellicola. Ci sono alcune sequenze che è impossibile immaginare prima, perché sono un prodotto degli attori e del set.
Sul personaggio della madre, interpretato nella seconda parte da Julieta Serrano
Inizialmente Julieta aveva poche scene. La sua entrata nella storia simboleggia l’arrivo della morte. Il personaggio di Antonio gioca pericolosamente con l’eroina e per questo c’è un’idea di morte. Quando sono iniziate le riprese, ho improvvisato la scena in cui la madre confessa i suoi sentimenti a Salvador. La scena è molto importante perché Salvador si scusa per non essere stato il figlio che lei avrebbe desiderato.
Anche se la scena non è ispirata alla mia vita (non ho mai avuto un confronto del genere con mia madre), rimanda alla stranezza che percepivo da bambino. Mi sentivo diverso e soffrivo a causa della crudeltà dei miei compagni in collegio.
L’uso del colore
Credo che il mio grande interesse per i colori accesi derivi dal mio amore per il Technicolor dei film che vedevo da bambino; lo ricordo con grande nostalgia. Quando diventai regista decisi che non avrei realizzato film naturalistici, ma che avrei usato l’artificio. In un certo senso, mi sono comportato come un pittore, giocando con vari colori. Questa passione per i colori è anche una reazione all’infanzia austera che ho vissuto nella regione de La Mancha.
L’influenza di 81⁄2
Nel realizzare una pellicola su un regista in crisi, si avrà sempre un paragone con il film di Federico Fellini perché è un monumento. Ho cercato di fare un film molto diverso: l’unico momento che mi ricorda 8 1⁄2 è la scena in cui il personaggio di Penélope e il piccolo Salvador arrivano a Paterna e ci sono tante lenzuola mosse dal vento. Fellini è uno dei miei registi preferiti, ma non ho pensato a lui. In realtà non avevo in mente nessun regista in particolare.
Nel rivedere le scene tra Antonio e Julieta Serrano, la montatrice (Teresa Font) ha notato una somiglianza con il cinema di Ingmar Bergman. È un paragone che mi fa molto piacere, perché amo i film di Bergman.
Dolor y Gloria, che è valso ad Antonio Banderas il premio come migliore attore allo scorso festival di Cannes, è sicuramente la miglior pellicola di Almodóvar dai tempi di Volver. Accostabile ad 8 1⁄2 nella tematica, Dolor y Gloria presenta però uno stile opposto al capolavoro di Fellini. Se il regista italiano impiega una messa in scena surreale, Almodóvar mantiene invece una narrazione ancorata alla realtà, orchestrandola su tre livelli diegetici: la fanciullezza di Salvador, il presente dove troviamo il protagonista in crisi e il passato che ritorna sotto forma di due personaggi, l’attore Alberto Crespo (Asier Etxeandia) e l’ex amante Federico (Leonardo Sbaraglia).
Confrontandosi con i due, Salvador trova anche il coraggio per affrontare i dolori che fino a quel momento gli avevano impedito di tornare sul set. Come è lui stesso a ripetere più volte, è il cinema ad averlo salvato in passato e sarà nuovamente il cinema a salvarlo dalla dipendenza da eroina.
Le scene che vedono protagonisti Salvador e la madre anziana sono tra le più importanti del film: la donna, conscia di essere prossima alla morte, si confida con Salvador dicendogli che non è stato un buon figlio. L’uomo si scusa, affermando di essere stato soltanto se stesso. È un episodio toccante che ricorda (come sottolineato da Almodóvar) il cinema di Bergman, soprattutto i dolorosi scambi tra Liv Ullmann ed Ingrid Bergman in Sinfonia d’Autunno.
Nelle note distribuite dal BFI prima della visione del film, Maria Delgado evidenzia come Dolor y Gloria sia anche una celebrazione del potere dell’arte, capace di dare sollievo al protagonista, aiutandolo a confrontarsi con i fantasmi del suo passato.
E così nel mondo di Almodóvar, anche il cinema diventa un mezzo che -parafrasando Pablo Picasso – riesce a salvare la nostra anima dalla polvere della quotidianità.
© Foto Martina Ciani