Abbiamo fatto qualche domanda alla protagonista del nuovo film di Pablo Larraín.
Quando Ema è stato presentato alla scorsa edizione del Festival di Venezia ha diviso le platee. Alcuni hanno amato il linguaggio anarchico della pellicola, altri non hanno trovato senso nel simbolico caos proposto da Larraín. È questa la caratteristica che contraddistingue il cinema del regista cileno: le sue pellicole non permettono vie di mezzo e registrano spesso opinioni contrastanti.
In Ema, Larraín racconta di una coppia vittima di un’adozione finita male. E lo fa per mezzo di una narrazione fuori dalle regole, in cui al centro c’è sempre lei, Ema, la sconvolgente donna del titolo.
Dopo il passaggio a Venezia e Toronto, la pellicola è stata presentata al London Film Festival, dove per l’occasione abbiamo avuto modo di fare qualche domanda all’attrice protagonista, Mariana Di Girolamo.

In alcune interviste hai dichiarato che stai ancora scoprendo chi è veramente il tuo personaggio. Come lo descriveresti ora?
Non so se sarò mai in grado di capire il personaggio perché è molto complesso. Ema è profonda e mi sento in contraddizione con lei, la amo e la temo nella stessa misura. Nel film è espressa attraverso il simbolismo del fuoco. Sto ancora cercando di capire questo personaggio e forse non voglio farlo fino in fondo. Ho visto il film quattro volte e l’effetto è stato sempre diverso: la prima visione è stata molto difficile per me perché non ero pronta a distaccarmi da Ema, la seconda mi è piaciuta molto, la terza ancora di più e l’ultima ero quasi annoiata (sorride).
Larraín non ti ha dato una sceneggiatura e il tuo personaggio non aveva una vera e propria storia alle spalle su cui ti sei potuta preparare. Hai dovuto improvvisare sul set?
Non sono molto brava ad improvvisare, ricevevamo la scena la sera prima, a volte due sere in anticipo, altre il giorno che dovevamo girare. Imparavamo le scene molto velocemente e Pablo (Larraín) sapeva che lavorando in questo modo doveva essere aperto alle nostre proposte. Abbiamo lavorato con molta concentrazione, in un certo senso all’inizio è stato molto spaventoso, ma in seguito anche liberatorio.
Abbiamo particolarmente apprezzato le sequenze di danza. Come ti sei preparata per quelle scene?
Ci siamo preparati con un coreografo molto famoso in Cile, Jose Luís Vidal, che ha aggiunto la danza all’inizio, quella su La sagra della Primavera di Stravinsky. Per il reggaeton invece abbiamo lavorato con un altro coreografo ed ho imparato quello stile di urban dance.

Avevi già esperienza come ballerina?
Non professionale, amo ballare ed è qualcosa che condivido con il mio personaggio. Molte delle scene di danza sono improvvisate.
In quelle scene dovevi guardare spesso in camera.
È stato molto difficile perché non avevo mai lavorato con la steadycam e in un certo senso era come avere una relazione con la macchina da presa. Pablo ha avuto molta pazienza con me perché continuavo a nascondermi dalla camera.
Ema è un film aperto a diverse interpretazioni. Per te di cosa parla veramente?
È un episodio nella vita di Ema, la storia di questa donna fantastica. Personalmente, non credo che sia un film sul femminismo o sull’adozione, ma può essere anche questo. Pablo la descrive come una pellicola sulle nuove generazioni.
© Photo credit Martina Ciani