Il film di Rian Johnson è un riuscito mistery degno della migliore Agata Christie.
Prendendo una pausa dalle galassie di Star Wars, il regista e sceneggiatore Rian Johnson realizza una pellicola quanto più distante possibile dall’universo di Luke Skywalker.
Knives Out è infatti un film atipico per il 2019. Non è un remake, come lo era stata la versione di Murder on the Orient Express di Kenneth Branagh, ma una storia originale (scritta dallo stesso Johnson) che omaggia lo stile della regina del giallo Agatha Christie.
Un’operazione simile era stata effettuata anche da Robert Altman in Gosford Park, dove il genere del mistery confluiva nel racconto corale caratteristico del regista. Se Rian Johnson non ha la stessa maestria di Altman nel tratteggiare i personaggi, si rivela comunque capace di realizzare un film avvincente e dagli sviluppi inaspettati.
In una remota villa di campagna si celebrano gli 85 anni del celebre scrittore di gialli Harlan Thrombey (Christopher Plummer). Alla festa partecipano i famigliari e la giovane infermiera Marta. Quando il giorno seguente ai festeggiamenti, il corpo di Thrombey viene scoperto privo di vita, quello che sembra inizialmente un suicidio si rivelerà tutt’altro.
Johnson rispetta con arguzia le regole del giallo: ambienta la vicenda in una villa isolata e presenta una serie di personaggi che, ad un primo incontro, appaiono tutti sospettabili. Come in Gosford Park, c’è un detective un po’ buffone, Benoit Blanc (Daniel Craig) che gioca con i componenti della famiglia Thrombey. Se Blanc sembra non venire a capo del mistero, in realtà, ha un’idea ben precisa fin dall’inizio.
Ed è proprio la finta incompetenza di Blanc a segnare i momenti comici del film e ad essere protagonista di battute esilaranti. Questo grazie ad un inedito Daniel Craig spesso al centro delle migliori gag: su tutte, quella in cui il detective ascolta con le cuffie e canta con passione un brano di Stephen Sondheim, mentre alle sue spalle si consuma un evento di enorme importanza per l’investigazione.
Oltre ad essere un giallo, Knives Out ha il sapore di una black comedy che fa satira sull’America moderna e su una società sempre più persa in insulse discussioni da salotto borghese.
Questa società alla deriva è resa attraverso la disfunzionale famiglia dei Thrombey: Joni (Toni Collette) ridotta a rubare dal fondo scolastico per la figlia, Walter (Michael Shannon) incapace di avviare una propria carriera, tanto da costruirne una sui successi del padre, Linda (Jamie-Lee Curtis) e il figlio Ransom (Chris Evans), abituato a vivere nell’agio.
L’unica figura positiva nella vita di Harlan è Marta (Ana de Armas), l’infermiera di cui il resto della famiglia non riesce neanche a ricordare l’etnia (nel corso del film è chiamata uruguiana, paraguiana e brasiliana). I Thrombey sembrano comunque rispettare Marta (o è solo apparenza?) e si offrono di aiutarla nel momento del bisogno. Con il dispiegarsi degli eventi però, i rapporti cambieranno e sarà nella simbolica immagine con cui si chiude la pellicola, che la critica contro la società americana portata avanti da Johnson troverà l’apice.
Knives Out si aggiunge agli altri film visti in questo festival (Bacurau, Jojo Rabbit), che non aspirano soltanto ad intrattenere, ma a proporre un discorso più profondo. Fornire un commento e seguire le evoluzioni della società è sempre stata una caratteristica del cinema. Ma come già successo in passato, nel caotico momento in cui viviamo, questa funzione propria alla settima arte si sta rivelando sempre più necessaria.