All’Old Vic torna in scena “Lungs” con Claire Foy e Matt Smith in una versione streaming su Zoom.
Data l’impossibilità di una riapertura imminente a causa del social distancing, l’industria teatrale si è vista costretta all’utilizzo di mezzi alternativi per mantenere un dialogo con il proprio pubblico durante questi mesi di pandemia globale. Il National Theatre e il Royal Court hanno reso disponibili una serie di produzioni online, mentre lo scorso maggio è stato trasmesso un reading dell’opera A Separate Peace di Tom Stoppard, realizzato attraverso Zoom. L’Old Vic (uno dei teatri più celebri di Londra) si è però spinto oltre scegliendo di trasmettere una performance dal vivo con gli attori in un auditorium vuoto. L’opera in questione è Lungs di Duncan Macmillan, interpretata da Claire Foy e Matt Smith, già andata in scena all’Old Vic sul finire dello scorso anno, quando una prolungata chiusura dei teatri sembrava ancora materiale da romanzo di fantascienza.
La finzione si è però tramutata in realtà, e così, all’eccitante attesa comodamente seduti in platea, si è sostituito un finto brusio fuoriuscente dal nostro PC, volto a riprodurre quel coinvolgimento quasi febbrile che si respira prima di una rappresentazione. Inutile dire che l’inserimento delle voci registrate del pubblico può apparire bizzarro e instaurare nello spettatore una nota di tristezza. Con l’inizio della performance però, questo sentimento scompare immediatamente.
La pièce di Macmillan, incentrata sulle difficoltà incontrate da una coppia nell’avere un figlio (difficoltà soprattutto ideologiche) si rivela una riflessione sui tempi che stiamo vivendo. I protagonisti sono sintesi delle preoccupazioni vissute da ognuno di noi, come l’impotenza provata nei confronti dei mali che colpiscono il mondo, e la paura di non poter contribuire al miglioramento della società. È davvero il momento giusto per avere un figlio? Chi lo fa, viste le condizioni, è un’ipocrita? Non sarebbe forse più saggio, dato il sovrappopolamento globale, sottrarsi alla volontà di essere genitori? Sono le domande che il personaggio di Claire Foy pone a quello interpretato da Matt Smith. È lei ad essere la forza trascinante nella coppia, l’idealista, che sottolinea frasi nei libri di cui il compagno non comprende pienamente il significato. Quando, nel corso della storia, i due si separano per un periodo, l’uomo diventa debole, lasciandosi andare ad un’esistenza priva di interrogativi, che scorre insipida.

L’alchimia tra Foy e Smith era già nota grazie ai loro ruoli in The Crown, ma qui i due raggiungono una sinergia che riesce a produrre un totale coinvolgimento, nonostante le limitazioni imposte. Osservarli mentre riflettono sul futuro e si interrogano sul loro ruolo nel mondo, equivale a guardare un riflesso di noi stessi. Certe frasi, come quelle sul finale, in cui i due personaggi elencano una serie di disastri diventano poi, visto lo scenario attuale, ancora più rilevanti.
Questo non rende però Lungs un testo pessimista, ma piuttosto un’opera dalla disarmante sincerità. La capacità di ritrarre i personaggi nelle loro debolezze e difetti è caratteristica della scrittura di Macmillan e troverà massimo esempio nella pièce successiva a Lungs, People, Places and Things (andata in scena nel 2016 al National Theatre).
Con la conclusione della performance, Foy e Smith danzano sulle note di There She Goes, My Beautiful World di Nick Cave, alle loro spalle la platea vuota dell’Old Vic. È un’immagine molto potente, sintesi dell’isolamento vissuto in questi mesi, ma che al tempo stesso, riesce a farci intravedere una parvenza di normalità.