Da “Manhattan” a “Taxi Driver” sono tanti i film in cui compare la Big Apple: abbiamo scelto alcuni dei più significativi.
Tra i vari medium che hanno contribuito a creare lo status leggendario di New York, c’è sicuramente il cinema. La Big Apple è stata protagonista, più di ogni altra città al mondo, di numerose pellicole: il ritratto più celebre è forse quello di Woody Allen che immortala, attraverso un elegante bianco e nero, l’inconfondibile skyline newyorkese sulle note di “Rhapsody in Blue” in “Manhattan” (1979).
A questa visione estremamente romantica, si contrappone quella infernale di Martin Scorsese in “Taxi Driver” (1976) dove Robert De Niro si aggira in una New York perennemente minacciata dal male.
Se in “Quando la moglie è in vacanza” (1955) il fumo che fuoriesce dal sottosuolo diventa pretesto per una delle scene più sensuali della storia del cinema – con il vestito di Marilyn Monroe che si solleva per un breve attimo – in “Taxi Driver” il vapore emanato dagli sbocchi della metropolitana crea un’atmosfera post-apocalittica, che simboleggia il volto sconfitto dell’America dopo la guerra in Vietnam.

La New York di Scorsese è sicuramente specchio della realtà dell’epoca: dopo il picco economico di inizio anni ’60, nella decade successiva, la città conobbe un momento di crisi economica. Le strade furono inondate da sporcizia a causa di un prolungato sciopero dei servizi e la disoccupazione registrò numeri elevati. Nelle aree a sud di Midtown come l’East Village e la Bowery imperversava la criminalità; i palazzi abbandonati vennero occupati da abitanti abusivi. Anche Times Square fu in quegli anni scena di hustlers, pusher e cinema di serie B. Questa New York oscura, ma non priva di fascino è al centro di “Mikey e Nicky” (1976) di Elaine May e “Gloria” (1980) di John Cassavetes.

In “Mikey e Nicky”, Peter Falk e John Cassavetes interpretano due criminali; Nicky (Cassavetes) teme di essere ucciso dal boss per cui lavora a causa di un colpo finito male e chiede aiuto all’amico Mikey (Falk). I due trascorrono un’intera notte spostandosi da una zona all’altra di Lower Manhattan per evitare che Nicky venga intercettato dai killer: quelli in cui si muovono sono scenari desolati, come il bar all’inizio della pellicola, o la decadente camera di hotel in cui Nicky si nasconde. I newyorkesi Falk e Cassavetes appaiono naturali in questi ambienti che conoscono bene; i loro volti appartengono a quelle strade.
Dopo aver vagato per le Avenue di Manhattan, Cassavetes torna dietro la macchina da presa in “Gloria”, consegnandoci una memorabile sequenza d’apertura in cui New York è assoluta protagonista: una carrellata aerea fotografa i grattacieli in notturna; la mdp sorvola l’East River, lasciando intravedere le luci del ponte di Brooklyn; giunge poi nel Bronx, inquadrando brevemente lo Yankee Stadium. Dopo essersi soffermata sulla Statua della Libertà, la macchina da presa torna sull’isola di Manhattan concludendo il suo viaggio nel Bronx. Cassavetes ci introduce nella vita della protagonista attraverso un incipit che evoca atmosfere da cinema noir.

Anche se uscito nel 1980, la New York vista in “Gloria” è la stessa di “Mikey e Nicky”, con la criminalità organizzata che domina l’isola e la sporcizia che abbonda ai lati delle strade. Gloria, magnificamente interpretata da Gena Rowlands, è costretta a prendersi cura di un ragazzino rimasto orfano, dopo che dei gangster hanno ucciso la sua famiglia. I due si spostano da un’estremità all’altra di Manhattan cercando di sfuggire al loro destino. Quella che fa da sfondo alle vicende di Gloria e il bambino è una città spogliata del suo glamour, che si distacca completamente dalle visioni luccicanti di Woody Allen.
In “Io e Annie” (1977), uscito soltanto un anno dopo “Taxi Driver” e “Mikey e Nicky”, la New York ritratta non potrebbe essere più distante da quella delle pellicole di Scorsese ed Elaine May. Allen colloca i suoi personaggi nell’Upper Manhattan, mostrando una città sofisticata, abitata da intellettuali e persone di successo. Non c’è allusione alle atmosfere underground ampiamente esplorate dagli altri autori; in “Io e Annie” il lato selvaggio di New York di cui cantava Lou Reed resta fuori campo.

Ed è proprio questo il fascino della Big Apple; non esiste un solo modo per ritrarla. È una città con così tante possibilità e sfaccettature da lasciare spazio ad infinite interpretazioni. Nelle innumerevoli volte in cui l’abbiamo vista sul grande schermo, New York ci ha sempre lasciato in preda ad un’intossicante fascinazione. Verrebbe da dire, senza esagerare: “Ci sono cose per cui vale la pena vivere. Vedere New York è una di queste”.