Per gli amanti del Jazz, al n. 47 di Frith Street, un locale da non perdere.
È domenica pomeriggio e la voglia di passeggiare tra le vie di Londra ti conduce alla dinamica ed alternativa Soho. Curiosando tra gli stretti vicoli, in cui si respira ancora l’aria della Swinging London, ti imbatti in un locale che, con un’elegante scritta color rubino, si presenta con discrezione: Ronnie Scott’s Jazz Club.
Per gli amanti della musica Jazz le presentazioni non sono necessarie, ma per tutte le altre anime inclini alla musica e desiderose di esplorare nuovi orizzonti, una breve introduzione è indispensabile. Il Jazz Club è il sogno diventato realtà di Ronnie Scott, un promettente sassofonista britannico che all’età di 20 anni decise di intraprendere un viaggio oltreoceano con un’unica idea in mente: scoprire e vivere il panorama musicale jazz newyorkese.
Ronnie non dimenticò mai questa meravigliosa esperienza di vita e una serata in particolare rimase impressa nella sua mente, quando il giovane musicista ebbe l’occasione di ascoltare la performance del Charlie Parker Quintet con Miles Davis al Three Deuces. L’atmosfera che circondò Ronnie fu così elettrizzante e piena di ispirazione che, una volta tornato dal viaggio, un sogno iniziò a prendere vita: creare un jazz club a Londra sulla scia di quelli newyorkesi.

C’è chi dice che nella decade dei trent’anni si realizzino i propri sogni ed è ciò che accadde a Ronnie; nell’anno del trentaduesimo compleanno, decise con l’amico Pete King di dar vita al suo jazz club, inizialmente con sede al numero 39 di Gerrad Street, Soho. Era il 30 Ottobre 1959.
A seguito del successo raggiunto, i due amici decisero di trasferirsi in un locale più spazioso e nel giugno del 1965 fu inaugurata quella che è l’attuale sede al 47 di Frith Street. Da allora Ronnie Scott’s Jazz Club ha avuto l’onore di ospitare tutti i più grandi musicisti della storia del Jazz e non sono mancati anche artisti del calibro di Tom Waits, Eric Burdon, Jack Bruce, Jimi Hendrix e tanti altri.
Ogni sera i più famosi musicisti della scena jazz mondiale si esibiscono al Ronnie Scott’s Jazz Club; recentemente, è stata la volta del sassofonista Charles McPherson. Per oltre 50 anni, McPherson è stato una delle voci più espressive ed apprezzate del Jazz. Il suo ricco stile musicale, radicato nel blues e nel bebop, ha influenzato ed ispirato generazioni di musicisti e ascoltatori.
Durante la sua adolescenza McPherson si immerse completamente nella cultura jazz di Detroit e seguì gli insegnamenti del suo mentore, il pianista Barry Harris. All’età di 20 anni si trasferì a New York e da quel momento la sua carriera decollò grazie ad importanti collaborazioni con musicisti di rilievo nella scena jazz newyorkese, tra i quali Charles Mingus e Dizzy Gillespie.

Entrando all’interno del Ronnie Scott’s Jazz Club, l’atmosfera cambia e sembra di tornare alla fine degli anni ’50, nella Soho evocata da Colin MacIness in Absolute Beginners. La penombra del locale è illuminata da tante piccole lampade rosse che appoggiate sui tavoli, donano eleganza all’ambiente. Alle pareti si susseguono una serie di fotografie che immortalano momenti storici della vita musicale del club. Sedersi e guardarsi intorno è un’esperienza mistica.
All’entrata del Charles McPherson Quartet, il vocio si tramuta in silenzio. L’ironia dell’artista tra un brano e l’altro è coinvolgente e la performance suddivisa in due set è incalzante. Intriganti melodie di insieme si alternano a suggestivi assoli di sax, piano (Bruce Barth), basso (Mark Hodgson) e batteria (Stephen Keogh). Con il brano Old Folks, che McPherson introduce con un ironico “not for the people in this room”, il tono dello show diventa magico e commovente. Su ogni singola nota ognuno di noi può sognare, andare oltre i confini della vita quotidiana, chiudere gli occhi e sentirsi trasportato nel tempo, magari al Village Vanguard nel Greenwich Village durante gli anni ‘50.
Credo che fosse proprio quest’atmosfera che Ronnie Scott voleva ricreare con il suo jazz club londinese. Unire due città distanti tra loro attraverso il ritmo imprevedibile del Jazz.
© Foto Martina Ciani