SUSPIRIA di Luca Guadagnino

Il nuovo film del regista di Call Me by Your Name non convince totalmente.

Cos’è la paura? È qualcosa che si instaura nel nostro subconscio, rendendoci vulnerabili e tormentati. Il cuore aumenta il battito, il disagio ci sovrasta e la nostra percezione viene sconvolta. Nella storia del cinema, molti film sono riusciti a provocare una reazione simile nello spettatore; penso a The Shining, The Exorcist, la trilogia di Scream, fino al recente Hereditary. Dove collocare quindi Suspiria di Luca Guadagnino nel panorama horror cinematografico?

Il regista ha dichiarato di non aver concepito il film come un semplice remake dell’originale di Dario Argento del 1977, ma piuttosto come una nuova visione della storia, ispirata dallo stile di Rainer Werner Fassbinder e dalle opere del pittore Balthus. Troviamo infatti le atmosfere fassbinderiane nella decadente scuola di danza e nella Berlino scura e tormentata (sono gli anni del terrorismo del gruppo Baader Meinhof e della guerra fredda) in cui piove incessantemente. Anche nei colori che vestono i personaggi vi è un certo richiamo ai costumi dai toni marroni e verdi utilizzati spesso da Fassbinder.

Se quindi guardiamo a questo nuovo Suspiria come una reinvenzione del film di Argento, passando per l’immaginario fassbinderiano, ad emergerne è un prodotto difettoso, ma sicuramente affascinante. Del resto, Guadagnino è un bravo regista: lo dimostrano la cura estetica delle inquadrature e l’uso delle dissolvenze incrociate, tecnica ormai relegata e ai così detti film di genere. È forse però il peso dello stile ad abbattere il contenuto: concentrandosi sulla resa estetica della pellicola, Guadagnino realizza una storia dalla trama confusa.

Del film di Argento il regista mantiene i personaggi, ma ne stravolge tutto il resto, inserendo frammenti di storia tedesca degli anni Settanta e riferimenti all’Olocausto. Questi due temi però, non si allacciano alla vicenda di stregoneria e sacrificio con convinzione, apparendo privi dell’importanza che dovrebbe essergli conferita. L’aggiunta dei due elementi alla storia finisce per appiattire il film, rendendolo caotico nella sua diegesi. Inoltre, il finale della pellicola, troppo sanguinoso e finto, fa sorridere, più che suscitare terrore.

Suspiria risulta quindi un prodotto ambivalente, non del tutto sicuro della strada che vuole intraprendere, tra il thriller psicologico caro a Polanski, l’Aronofsky di Black Swan e lo splatter di Rob Zombie.

Photo credit: Imdb

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