L’ultimo film di Agnès Varda è un’appassionante retrospettiva sulla sua carriera.
Ispirazione-creazione-condivisione. Sono questi i tre ingredienti attraverso cui – secondo Agnès Varda – nasce il cinema. La regista lo spiega nell’ultimo film Varda par Agnès, in cui siamo invitati a ripercorrere la sua filmografia, immergendoci in un universo fatto di luoghi e persone.
Visages Villages è infatti il titolo di una delle ultime opere della Varda, realizzata assieme al fotografo JR. Nel film, i due viaggiano attraverso la Francia rurale, immortalando volti di uomini e donne, ed esponendo in seguito le gigantografie negli spazi più inusuali: la facciata di un palazzo, quella di una fabbrica, o, come nel caso di una vecchia foto scattata dalla regista ad un giovane Guy Bourdin, sul lato di un bunker in una spiaggia.
L’interesse per i volti e per le storie che celano, caratterizza l’intera filmografia della Varda: ne è esempio il documentario Murs Murs, dove viene tracciata una mappa visuale di Los Angeles, attraverso i murales e gli artisti che li hanno realizzati. I volti del film sono quelli dei veri abitanti di La La Land, lontani dallo splendore hollywoodiano, vittime di una realtà segnata dalle lotte tra bande rivali.
Prima di tornare a Los Angeles nel 1979 per Murs Murs, la Varda aveva trascorso il finire degli anni ’60 in California assieme al marito Jacques Demy, chiamato ad Hollywood in seguito al successo de Le Parapluies de Cherbourg. Qui la regista realizzò Lions, Love (and Lies) una pellicola che racchiude l’essenza di quegli anni rivoluzionari. I volti protagonisti sono quelli di James Rado e Gerome Ragni (autori del musical Hair), di Viva (star della Factory di Andy Warhol) e della film-maker underground Shirley Clarke.

Photo credit: Janus Films
L’attenzione della Varda verso le questioni sociali la portò ad Oakland, dove, nel 1968, filmò le Pantere Nere mentre protestavano per la liberazione del leader Huey Newton (incarcerato perché accusato dell’omicidio di un poliziotto). Il risultato è il cortometraggio Black Panthers.
La filmografia della Varda è fatta di sguardi: quello di Corinne Marchand, protagonista di Clèo dalle 5 alle 7, di Sandrine Bonnaire in Senza tetto né legge e dell’amica Jane Birkin, al centro di Jane B. par Agnès V. È un cinema che ci insegna a guardare e in cui i personaggi stessi imparano ad osservare il mondo: se Clèo è inizialmente oggetto degli sguardi di chi incontra, con il procedere della pellicola, la donna diventa osservatrice, dimostrando di non temere ciò che il destino ha in serbo.
Questa inclinazione della Varda verso i volti e lo sguardo è riconducibile al suo lavoro come fotografa: la regista iniziò la carriera nel mondo dell’arte visuale, scattando foto promozionali per la compagnia teatrale del Théâtre National Populaire. È qui che la Varda conobbe Philippe Noiret e Silvia Monfort, protagonisti del suo primo lungometraggio, La Pointe Courte.

Photo credit: The Criterion Collection
Precursore della Nouvelle Vague, il film ruota attorno ad una coppia in crisi, a cui si giustappongono scene di vita quotidiana in un paese di pescatori. La pellicola, ispirata nella struttura da The Wild Palms di William Faulkner, vive a metà tra racconto di fiction e documentario, un espediente narrativo che la Varda utilizzerà per il resto della sua carriera.
È nello scrivere La Pointe Courte che la regista coniò il termine Cine-scrittura: secondo la Varda i vari processi di realizzazione di un film non sono separabili. È lei a scrivere le sceneggiature e successivamente a trasformarle in immagini in movimento.
Ma nel vasto immaginario di Agnès Varda non c’è solo il cinema: la regista è stata anche una visual artist, autrice di numerose installazioni tra cui Patatutopia, vista alla Biennale di Venezia e la toccante Les Veuves de Noirmoutier, una raccolta di testimonianze di alcune vedove, abitanti dell’isola di Noirmoutier.
Altri volti, altre storie. Come quella di Garage Demy, un omaggio della Varda a Jacques Demy, colpito da una malattia incurabile. Alle immagini ricostruite dell’infanzia di Demy, la Varda alterna una tenera esplorazione – per mezzo di una macchina digitale – del corpo malato del compagno.
Uno dei momenti più sorprendenti di Varda par Agnès è quello in cui la regista svela i retroscena di Cento e una notte, il film che realizzò per celebrare i 100 anni del cinema. Nonostante la pellicola vantasse un cast di prim’ordine, tra cui Michel Piccoli e Jean-Paul Belmondo, fu un enorme flop al botteghino. Ma la sequenza in cui appaiono Robert De Niro e Catherine Deneuve riesce a far palpitare il nostro cuore di cinefili.
Agnès Varda è scomparsa lo scorso marzo lasciandoci un’ultima riflessione, un’opera che va oltre il documentario, diventando una testimonianza sull’autrice e sul cinema stesso.
“Il peggior incubo per un regista, è una sala vuota” commenta la Varda; senza la condivisione, un film non avrebbe vita. Interpretiamo quindi Varda par Agnès come un invito a non abbandonare le sale cinematografiche: in una società sempre più divisiva, il cinema è tra i pochi luoghi rimasti dove possiamo ancora meravigliarci, insieme. E questo film ne è la prova.