Vintage Cinema: Il processo di Orson Welles

Accolto negativamente alla sua uscita, il film tratto dal romanzo di Kafka è stato rivalutato negli anni ed è oggi considerato tra i capolavori di Welles.

“Qualcuno doveva aver denunciato Josef K. perchè senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato”. Sono queste stranianti parole ad aprire Il processo di Franz Kafka, uno dei romanzi più importanti del XX secolo, completato nel 1915 e pubblicato dopo la morte dell’autore nel 1925. Un’opera allucinata e allucinante, che si infiltra nei meandri della mente umana ed esplora le labirintiche fondamenta della legge. Un testo che finì per attrarre il genio di Orson Welles, che ne realizzò la trasposizione cinematografica nel 1962.

Welles traduce la discesa distruttiva di Josef K. (Anthony Perkins) per mezzo di lunghi piani sequenza che contribuiscono a fortificare l’idea di flusso continuo tra situazioni surreali e grottesche. Gli ambienti in cui K. si muove appartengono ad un sogno/incubo dagli elementi distorti su cui l’uomo non esercita nessun controllo; il suo destino è già deciso e nessuna azione giuridica potrà alterarlo.

Di fronte alla legge, la statura dell’essere umano si riduce drammaticamente. Ne è esempio la suggestiva scena in cui K. incontra l’avvocato (interpretato dallo stesso Welles): Hastler è ritratto come un imperioso gigante che sovrasta K., l’uomo comune.

Anche le ombre – come già in Quarto Potere – assumono una funzione espressiva, sottolineando la supremazia di certi personaggi legati alla Corte. Il contrasto tra luci ed ombre rende le loro silhouette minacciose, in un tipo di messa in scena che rimanda al cinema espressionista tedesco.

Il dualismo tra l’uomo di potere e l’everyman è fortificato dagli spazi in cui questi si muovono; l’abitazione dell’avvocato, gli uffici della Corte e la sede di lavoro di K. sono di una grandezza irreale in cui l’uomo comune scompare; a questi si contrappongono ambienti angusti come la camera in cui vive K. e lo studio di Titorelli che, visivamente, ricorda la cella di una prigione. Titorelli è il pittore ufficiale della Corte di giustizia, ruolo che gli è stato tramandato dal padre e dal quale non può, e forse non vuole, liberarsi.

La sequenza dell’incontro tra K. e Titorelli è tra le più terrificanti del film: K. fugge dall’abitazione del pittore inseguito da alcune bambine, ritrovandosi prima negli uffici della Corte, poi in un tunnel sotterraneo che lo conduce di fronte ad una cattedrale. Il frenetico montaggio alternato amplifica il senso claustrofobico percepito da K., insinuandosi anche nello spettatore.

Se il testo kafkiano era stato anticipatore dei totalitarismi che avrebbero colpito l’Europa nei decenni successivi, nella trasposizione cinematografica, Welles cita direttamente gli orrori dell’Olocausto: nella scena, K. raggiunge la corte e fuori dalle sue porte incontra uomini e donne, spogliati dei loro abiti, che portano al collo una sigla numerica. È un riferimento al tema centrale del romanzo e della pellicola: la persecuzione da parte dei detentori del potere di persone innocenti.

Lo stesso Welles fu vittima di una persecuzione ingiusta: negli anni dell’ultima grande “caccia alle streghe”, venne stilata la celebre lista nera di Hollywood, in cui figuravano i nomi di alcuni artisti sospettati di antiamericanismo; tra questi c’era anche Welles. Nel 1948 il regista lasciò gli Stati Uniti per l’Europa, facendovi ritorno soltanto nel 1956.

Il processo potrebbe anche essere letto come un’accusa contro il potere degli Studios hollywoodiani, colpevoli di non aver mai concesso a Welles la libertà creativa che ricercava. I produttori intervennero spesso sul montaggio delle sue pellicole, determinando drasticamente il risultato finale.

Se il romanzo di Kafka dipinge lo stato alienante dell’uomo moderno, nelle mani di Welles Il processo va a simboleggiare l’estraneità provata dall’autore nei confronti di Hollywood, generalmente idealizzata come macchina produttrice di sogni, ma che, nel caso del regista, divenne una forma di condanna.

La scena che apre “Il processo”
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