Un toccante tributo al regista Jacques Demy diretto dalla compagna Agnès Varda.
Se il cinema di Agnès Varda è permeato da una frequente esplorazione di territori personali, in Jacquot de Nantes la regista approfondisce questa sfera raccontando l’infanzia e adolescenza del compagno Jacques Demy.
La Varda ricostruisce attraverso la finzione cinematografica la giovinezza di Demy mostrando come luoghi, persone ed avvenimenti abbiano influenzato la filmografia dell’autore: ritroviamo così il garage dove Jacquot trascorre la maggior parte della sua infanzia ne Le Parapluie de Cherbourg, una lontana cugina appassionata di gioco d’azzardo è l’ispirazione per il personaggio di Jeanne Moreau ne La baia degli angeli, e la suggestione verso una donna vista in un bar dà vita alla Lola interpretata da Anouk Aimée.
Accanto alla rievocazione in bianco e nero della giovinezza di Demy, che in alcuni momenti denota un inevitabile eco del felliniano Amarcord, la Varda inserisce immagini in dettaglio del corpo del compagno, mostrando, grazie all’uso della videocamera digitale, particolari che rimarrebbero altrimenti celati al semplice sguardo. Il cinema diventa così un mezzo per scoprire in maniera più profonda Demy e al tempo stesso un’occasione di commiato: il regista, affetto da una malattia incurabile, morirà poco prima dell’uscita del film.
Nonostante il triste epilogo, che resta comunque fuori campo, Jacquot de Nantes ha il merito di non scadere nel melodrammatico, ma piuttosto di appassionare grazie alla tenerezza con cui la Varda ripercorre la vita di Demy. Il film è pervaso dalla stessa atmosfera ritrovabile nelle parole di Patti Smith in Just Kids dove l’artista compie un’operazione simile: ritrarre con assoluta sincerità una persona scomparsa.
Nello stesso modo in cui le parole della Smith evocano la devozione per l’arte del protagonista, numerose scene di Jacquot de Nantes sottolineano il ruolo fondamentale rivestito dal cinema per Demy: sono i film di Charlie Chaplin a farlo evadere dalla realtà della guerra, ed è la possibilità di sognare attraverso il cinema a sostenerlo quando il padre lo costringe a frequentare la scuola per meccanici.

Con l’avvicinarsi dell’età adulta seguiamo lo sviluppo dello spirito creativo che Demy aveva dimostrato di possedere fin dall’infanzia: stimolato anche da una positiva atmosfera familiare in cui la radio è costantemente accesa, tutti cantano– come faranno successivamente i personaggi dei suoi film – e i pomeriggi sono spesso trascorsi al cinema, Demy perseguirà la sua vocazione per la settima arte (anche se brevemente ostacolato dal padre) fino a farne la sua professione.
Se elevare una scena al di sopra delle altre risulterebbe difficile- tante sono le sequenze memorabili di questo film- occorre citarne almeno due: quella ricreata, in cui Demy adolescente costruisce in casa un piccolo cinema dove proietta il suo primo film, e la toccante dichiarazione del regista in cui confessa di aver odiato la violenza dopo aver assistito all’attacco aereo a Nantes durante la guerra.
È grazie a questo tipo di linguaggio capace di muoversi con disinvoltura tra documentario e cinema narrativo – caratteristico dell’intera cinematografia della Varda – che Jacquot de Nantes trascende i canoni del film biografico prendendo la forma di una toccante, ma mai drammatica, lettera d’amore alla vita.