Vintage cinema: “Made in U.S.A.(Una storia americana)” di Jean-Luc Godard

Uscito nel 1966, “Made in U.S.A.” rappresenta il primo passo verso il cinema militante di Jean-Luc Godard.

In un saggio del 1968 Susan Sontag identificava Jean-Luc Godard come un distruttore del cinema tradizionale. Fin dal debutto con Fino all’ultimo respiro, il regista aveva però dimostrato una profonda conoscenza del passato cinematografico, utilizzando una storia di impianto classico per ottenere una pellicola originale ed innovativa: Godard reinterpretava la narrazione tradizionale rendendola frenetica e frammentata come la vita moderna. L’operazione iniziata in Fino all’ultimo respiro proseguiva in La donna è donna, versione godardiana della commedia hollywoodiana, e Agente Lemmy: Missione Alphaville dove venivano stravolte le regole del film fantascientifico.

In Made in U.S.A., Godard fa nuovamente uso di un canovaccio appartenente alla Hollywood classica, in questo caso il noir de Il grande sonno, avvolgendolo in un intreccio in cui subentra la politica. Anna Karina, vestita alla Bogart, arriva ad Atlantic-Cite per cercare l’assassino dell’amante; da questa trama relativamente esile – ispirata al romanzo di Richard Stark The Jugger – Godard costruisce un pastiche di citazioni, tra personaggi che portano il nome di registi cinematografici (Aldrich, Preminger), di figure politiche (Richard Nixon e Robert McNamara), e continui riferimenti alla cultura popolare. L’evocazione del mondo pop e l’inserimento di immagini da fumetto fanno di Made in U.S.A. un prodotto pulp, molto prima che Quentin Tarantino riattualizzasse questo tipo di cinema.

Tarantino, chiaramente un devoto della filmografia godardiana (la sua casa di produzione si chiama Bande à part), sembra aver tratto particolare ispirazione da Made in U.S.A. nei due volumi di Kill Bill: entrambe le pellicole hanno per protagonista una donna in cerca di vendetta; c’è poi un espediente utilizzato da Godard che ricorda uno dei trucchi più riusciti del titolo tarantiniano. In Made in U.S.A. non è mai svelato l’intero nome della vittima perché sempre ostruito da suoni infradiegetici. Lo stesso accade in Kill Bill, dove il vero nome della protagonista, che conosciamo soltanto verso la metà del secondo volume, resta censurato da un beep nella prima parte della storia. È però soprattutto il continuo gioco citazionistico, la contaminazione tra generi, e la passione per i B movies ad accomunare Godard e Tarantino.

Anna Karina in Made in U.S.A.

In apertura alla pellicola, Godard ringrazia Nick (Nicholas Ray) e Sam (Samuel Fuller) per avergli insegnato l’importanza di immagini e suoni. Costruite attraverso un acceso Technicolor, le immagini di Made in U.S.A rimandano alla Pop Art: Anna Karina è spesso ripresa con lo sguardo in camera su sfondi di vario colore- dal rosso, al blu, al giallo – che la fanno sembrare soggetto di un’opera di Andy Warhol. Quella ritratta da Godard è una rappresentazione irreale degli Stati Uniti; nonostante i continui riferimenti al cinema americano, la storia si svolge in ambienti chiaramente europei. Alla critica che il bar visto nel film fosse quanto di più lontano si potesse immaginare rispetto ad un bar americano, Godard rispose: faccio un film per la gente che non è mai andata negli Stati Uniti, è un film sull’idea che anche a Puteaux si vive secondo ciò che ci impone l’America”. Quella di Made in U.S.A. è un’America omaggiata attraverso il cinema, ma anche criticata per aver imposto le regole del consumismo.

Partendo dall’idea secondo cui le pellicole di Godard sarebbero una continuazione del suo mestiere di critico cinematografico ai Cahiers du Cinéma, Made in U.S.A. potrebbe essere letto come un saggio in cui il regista analizza l’attualità politica attraverso la potente natura comunicativa del cinema.

Il film, realizzato nel 1966, sembrava anticipare gli scontri che due anni dopo avrebbero animato le strade parigine, quel maggio 1968 che segnerà in maniera permanente la politica francese e mondiale. Made in U.S.A. rappresenta quindi il primo passo di Godard verso il cinema militante che caratterizzerà la fase più politicizzata della sua carriera.

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