Il film uscito nel 1978 è specchio di una società distopica non distante da quella attuale.
Nel 1978 Fellini realizza quello che è forse il suo film più politico: girato per la televisione – come “I Clowns” e successivamente “Intervista” – “Prova d’orchestra” è l’atroce ritratto di una società colta all’apice del degrado.
Una troupe televisiva giunge in una sala da concerto con l’intenzione di intervistare i membri di un’orchestra. Quello che la troupe registra fin dall’inizio è un panorama caotico e grottesco: voci che si sovrappongono, discorsi troncati, battute volgari di individui che, nel peggiore dei casi, sembrano regredire ad uno stato animale.
Fellini si serve della discordia all’interno dell’orchestra, che dovrebbe invece essere sinonimo di armonia e unità, per condannare la mancanza di direzione di cui era vittima il paese negli anni Settanta. Il regista non si schiera però né dalla parte delle istituzioni, né da quella dei sovversivi; non simpatizza con il direttore d’orchestra, nostalgico di un passato in cui i musicisti si sottomettevano addirittura a punizioni fisiche, ma non si dimostra benevolo neanche nei confronti degli orchestrali, responsabili di aver distrutto la bellezza che erano padroni di creare attraverso la musica. Quella che era un tempo una delle arti più elevate, ora non è altro che un mezzo di sussidio.
La sequenza in cui all’interno della sala da concerto dilaga il caos è ancora oggi visivamente stupefacente: gli orchestrali manifestano il disprezzo nei confronti del maestro imbrattando muri e sostituendolo con un metronomo gigante che verrà a sua volta distrutto. In questo ambiente retrocesso ad uno stato primordiale senza più etica, a mantenere una certa dignità è la suonatrice d’arpa, simbolo di eleganza e sensibilità, che non a caso sarà l’unica vittima del successivo disastro.

Per mezzo di una trovata tipicamente felliniana, una palla per demolizioni si abbatte su una parete della sala distruggendola. Dinanzi agli orchestrali giace un cumulo di macerie; il caos ha generato soltanto ulteriore caos; ciò che resta da fare è riprendere in mano gli strumenti e suonare.
E così i musicisti tornano a far parte di un ordine che è esatta copia di quello a cui si opponevano; o peggio, in questo sistema ricucito dai detriti del precedente, gli individui sono forse maggiormente in pericolo. Come Josef K, gli orchestrali diventano pedine a cui sfugge il controllo del proprio destino – pedine manovrate da un direttore che sul finale assume sempre più le sembianze di un tiranno.
Vedere “Prova d’orchestra” oggi equivale a riceve un pugno in faccia; dati gli eventi attuali, la pellicola ci rende consapevoli di come la società non sia altro che un meccanismo inceppato che continua a ripetere gli errori del passato.
Se poi riflettiamo su come, almeno nel panorama cinematografico italiano, ci sia soltanto un regista (Sorrentino) capace di avvicinarsi alla potenza visiva di Fellini, allora il pugno lascia sul nostro volto un segno indelebile. Fellini era autore di un cinema che riusciva a scuotere l’animo dormiente dello spettatore.
“Prova d’orchestra” è inoltre particolarmente importante nella filmografia felliniana in quanto segna l’ultima collaborazione del regista con Nino Rota. Qui il maestro compone una partitura dissonante – lontana dalle melodie immediatamente riconoscibili de “La dolce vita” e “8½” – volta a sottolineare l’instabilità e il sentimento di rottura che pervade la pellicola. Il commento musicale di “Prova d’orchestra” è l’ultimo grande contributo di un maestro senza cui il cinema di Fellini non sarebbe stato lo stesso.