Tratto dall’omonima opera teatrale di John Osborne il film vede protagonista il grande Laurence Olivier.
In seguito al successo di Look Back In Anger – opera che ebbe il merito di risvegliare il teatro britannico dal torpore borghese in cui era piombato – John Osborne prese le distanze dal kitchen sink drama che lo aveva reso noto per raccontare la storia di un istrione di music hall in declino. Nel 1960 Tony Richardson, già regista della versione teatrale, diresse la trasposizione cinematografica del dramma, con Laurence Olivier nella parte del protagonista (interpretata anche a teatro) e Joan Plowright al suo debutto sul grande schermo.
In The Entertainer, Osborne ritrae una nazione il cui vecchio spirito va dissolvendosi: con la crisi di Suez, il patriottismo che aveva caratterizzato il Regno Unito durante l’espansione coloniale si stava spegnendo; ad andare incontro alla rovina era anche il simbolo di quell’epoca, il music hall. L’astuzia di Osborne sta dunque nell’associare il declino dell’istrione Archie Rice (Olivier) a quello della nazione. Rice è legato a un’idea di Inghilterra che non esiste più, il pubblico che partecipa ai suoi spettacoli lo applaude appena, stanco di vedere numeri antiquati e privi di senso.
Lo spettacolo da music hall aveva conosciuto la sua stagione d’oro nei primi del ‘900; verso la metà degli anni ‘50 molte delle sale di epoca edoardiana e vittoriana furono distrutte, riconvertite o chiuse. In quegli anni di instabilità politica e sociale, i giovani – come la figlia di Archie, Jean (Joan Plowright) – andavano in cerca di nuovi significati e partecipavano a rally contro il Primo Ministro Anthony Eden.
Se in The Entertainer, la visione di Osborne appare dura e pessimista, è efficace nel cogliere l’umore di un paese in transizione. Questo senso di precarietà non si esprime però attraverso Jean o il fratello Frank (Alan Bates); per loro, sembra dire Osborne, c’è ancora una possibilità. Qui lo sconfitto è Archie Rice, un individuo sordido, immorale, incapace di reinventarsi, che arriva a sfruttare persino la fama del padre (Roger Livesey), un ex istrione ritiratosi ormai da anni, pur di salvarsi dal fallimento.
In alcuni momenti di dialogo tra Archie e Jean l’uomo sembrerebbe possedere una certa sensibilità, come nel toccante monologo legato ad un episodio avvenuto durante la guerra, in cui Archie racconta di aver udito una donna di colore intonare una melodia: “Ho pensato che se l’umanità era stata capace di creare una simile bellezza allora c’era ancora qualche speranza” dice alla figlia. Nel momento in cui lo incontriamo però, la bellezza a cui fa riferimento sembra essere scomparsa dalla sua vita lasciando spazio alla disillusione.
Nell’opera, così come nel film, le scene di confusione domestica che vedono protagonisti Archie, la moglie Phoebe (Brenda de Benzie), Billy, Jean e Frank denotano una profondità emotiva legata maggiormente al teatro di O’Neil e Williams che a quello britannico, solitamente più trattenuto. Il personaggio di Phoebe in particolare, nella sua rassegnazione, simboleggia l’immobilità sociale della working class, già tema cardine di Look Back In Anger.
Laurence Olivier, svestitosi dei suoi ruoli shakespeariani, appare qui in una parte inedita, ma non di minore spessore interpretativo. In molti hanno osservato come quella di Archie Rice sia una delle performance più memorabili del grande attore britannico. Oltre alla maestosa prova di Olivier, a restare impressa è la scrittura di Osborne, capace di immortalare un paese colto ad interrogarsi sulla propria identità. In questo senso, nell’odierno clima di incertezza che avvolge il Regno Unito, The Entertainer prende i toni di un film drammaticamente attuale.